problema n. 50 del papiro di Rhind


Dividi il diametro in 9 parti. Prendi 8 parti e costruisci un quadrato 8 per 8.
Tale quadrato ha una superfice praticamente uguale a quella del cerchio assegnato.

MathMese

Pubblicazione mensile della sezione Mathesis “E. D’Ovidio” – Campobasso

 

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Anno I, Numero 12

Aprile  2003

 

Archimede

(287-212 a.C.)

Il lavoro deve essere scritto in Word e, di norma, non può superare 1 pagina (due colonne). TITOLO: al centro; carattere Arial; dimensione 9; grassetto .

AUTORI: al centro; carattere Arial; dimensione 8 – TESTO: giustificato a sinistra e a destra; carattere Times New Roman; dimensione 8-9; interlinea singola.

LE FRAZIONI DI p NELL’ANTICHITÀ

Antonio Caserio

(Liceo Artistico “G. Manzù” – CB)

 

Il sogno dei matematici per alcuni millenni è stato quello di trovare una frazione che esprimesse il rapporto costante tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro.

La ricerca di questo rapporto, che come noto si indica con la lettera π, sottende il classico problema di determinare un quadrato avente la stessa area di un cerchio dato (ciclometria).

La storia inizia con lo scriba egizio Ahmes che nel papiro Rhind (1), risalente al 1650 a. C., fornisce per π il valore approssimato di

con un errore inferiore al 2%. Si tratta di una approssimazione notevole per quei tempi e non si sa nemmeno come Ahmes l’abbia trovata. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che gli Egizi l’abbiano ottenuta empiricamente dalla formula , versando un volume noto di acqua in un recipiente cilindrico e poi misurandone il livello h raggiunto (2). Il calcolo di Ahmes è illustrato nel problema n. 50 del papiro Rhind:

Un campo circolare ha il diametro di 9 khet. Qual è la sua area?

Soluzione. Sottraete 1/9 del diametro, vale a dire 1 khet (vedi fig. 1). Rimangono 8 khet. Moltiplicate 8 per 8; il risultato è 64. Di conseguenza l’area è composta da 64 setat (khet quadrati) di terra.

Nel linguaggio moderno, posto

d = diametro del cerchio,

lato del quadrato = ,

si ha:

area quadrato =

area cerchio = .

Dall’approssimazione , si ricava  che implica .

Si osservi che, essendo 1 khet = 100 cubiti = 45 m, l’area del campo risulta di circa 13 ettari e quindi il problema è chiaramente teorico[1].

Per quanto il cerchio sia una figura semplice, il problema di determinarne l’area rientra nel caso molto più generale di calcolare l’area di figure a contorno curvilineo o mistilineo, un problema che D’Alembert e Diderot definiscono di geometria sublime, ancora nell’edizione del 1784 della loro celebre Encyclopedie.

Il primo geometra che riuscì a trovare esattamente l’area di una superficie a contorno curvilineo fu Ippocrate di Chio (460 a. C. – 380 a. C. circa). Egli determinò l’area di speciali lunule (3), superfici comprese tra due archi di circonferenza.

 

Si consideri, allo scopo, un triangolo rettangolo ABC rettangolo in B e si costruisca su ciascun lato il relativo semicerchio (vedi fig. 2). Dal teorema di Pitagora , moltiplicando ambo i membri per  si ottiene  Quindi , cioè il teorema vale anche per i semicerchi costruiti sui lati del triangolo rettangolo. Da questa osservazione Ippocrate dedusse il seguente teorema per le lunule[1] delimitate dalle semicirconferenze aventi per diametri l’ipotenusa e i cateti di un triangolo rettangolo: La superficie delle lunule costruite sui cateti di un triangolo rettangolo è equivalente alla superficie del triangolo rettangolo (vedi fig. 3).

 Infatti si ha:

(1)    

(2)     .

Da queste, per il teorema di Pitagora, si ottiene

e quindi .

Infine Ippocrate trova che quattro lunule L uguali sono equivalenti a un quadrato Q. Infatti dalla figura 4, per quanto dimostrato poco fa, si ha:

Basandosi su questo risultato e sull’ingannevole constatazione che il cerchio è una figura molto più semplice della lunula, molti geometri, nei secoli successivi tentarono di risolvere il problema della quadratura.

Fu Archimede di Siracusa (287 – 212 a. C.) ad ottenere il risultato più sensazionale della geometria greca per quanto riguarda il calcolo di π. In un trattatello di poche pagine, dal titolo La misura del cerchio (4), egli stabilì i teoremi che avrebbero innovato e influenzato per molti secoli la ricerca del valore di π. Prima dimostrò, con il metodo di esaustione (5), la seguente proporzione:

da cui, posto  = lunghezza circonf., S = area cerchio, r = raggio, si ottiene

 

 

,

cioè ogni cerchio è equivalente ad un triangolo rettangolo avente uno dei cateti uguali al raggio e l’altro uguale alla circonferenza del cerchio (fig. 5). Da questo teorema discende che il problema della quadratura del cerchio e quello della rettificazione della circonferenza sono equivalenti (si può costruire, infatti, con riga e compasso, un quadrato la cui area è equivalente a quella di un triangolo dato). Successivamente, attraverso il poligono regolare di 96 lati, inscritto e circoscritto alla circonferenza, il Siracusano trovò per π la celebre limitazione

.

Da notare che la stima , approssima π per eccesso a meno di 2 millesimi ed è usata di frequente. Il metodo e i calcoli eseguiti da Archimede per giungere a questo risultato sono straordinari e testimoniano, ancora oggi, la grandezza del suo genio.

Ripercorriamo brevemente il suo metodo. Sia AO = r il raggio di una circonferenza e siano  e  rispettivamente i lati dei poligoni regolari circoscritti a g  di numero di lati n e 2n (fig. 6). L’intento è quello di trovare un legame tra i rapporti  e  e ciò equivale ad esprimere, se si suppone per semplicità r = 1,  in funzione di . Allo scopo si tracci la circonferenza g  e si ponga AO = r = 1, AB = ,  (vedi fig. 6). Si conduca poi la bisettrice dell’angolo  e si indichi con C il suo punto d’intersezione con AB.  Sarà dunque  e . Per il teorema della bisettrice dell’angolo interno di un triangolo si ha la proporzione . Applicando ad essa la proprietà del comporre, si ha . Da cui, poiché , si ricava AB : AC = (AO + BO) : AO e infine, risolvendo questa rispetto ad AC, si ha:

(i)            .

Per le posizioni fatte, poiché per il teorema di Pitagora è anche , la (i) diventa, dopo avere eseguito i dovuti calcoli:

(ii) 

 

che è la relazione cercata. Per l’esagono regolare circoscritto, da cui Archimede inizia il suo calcolo, si ha a = 30°,  e quindi . Sostituendo questo valore nella (ii) si ottiene il lato del dodecagono circoscritto . Se indichiamo, poi, con , , …, i perimetri dei poligoni regolari circoscritti e con  la lunghezza della circonferenza, dalle disuguaglianze

 

(iii)         

sostituendo i valori di  e  precedentemente trovati, otteniamo:

 

(iv)          .

Servendosi della formula ricorsiva (ii), Archimede continua alla stessa maniera fino al poligono regolare circoscritto di 96 lati. Ma la sua genialità non risiede tanto nel metodo, che qualche storico attribuisce ad Antifonte (V secolo a. C.) e a Brisone (circa 450 a. C.), bensì nei calcoli che egli compie per approssimare le inevitabili radici quadrate con le frazioni (6). Approssimando con il valore per difetto dato da , egli sostituisce a , presente nella (iv), la frazione , di poco superiore. Proseguendo nei calcoli fino al poligono regolare circoscritto di 96 lati, egli ottiene infine la limitazione

che non è agevole da ricordare. Ma qui Archimede è anche fortunato, perché diminuendo soltanto di 2 unità il denominatore della frazione, trova 9345 che è multiplo di 1335. Quindi ricava:

cioè . Successivamente, il siracusano, per mezzo dei poligoni regolari inscritti, determina le limitazioni inferiori di π, a partire dall’esagono fino al poligono di 96 lati. Il suo metodo, come nel caso precedente, gli consente di stabilire, per una circonferenza di raggio unitario, la relazione

(v)           l2n=(2-(4-ln2)1/2)1/2

tra i lati dei poligoni regolari inscritti, rispettivamente di numero di lati 2n e n. Applicando ricorsivamente la (v) e approssimando, ancora, le radici quadrate con le frazioni (qui ad esempio sostituisce a  il suo valore per eccesso dato dalla frazione ) egli determina la limitazione inferiore , associata al poligono regolare inscritto di 96 lati (7).

 

Note esplicative

(1) Il papiro contiene in forma di problemi enunciati e risolti tutte le conoscenze matematiche degli Egizi e può essere considerato, a ragione, il primo manuale di matematica.

(2) Si pensi che gli Egizi scrivevano le frazioni come somma di unità frazionarie distinte e che non conoscevano la scrittura decimale dei numeri. L’approssimazione è molto buona se confrontata con il valore grossolano di π riportato nella Bibbia e con quello usato dai Babilonesi che è di 3. (In una tavoletta dell’Antico impero babilonese scoperta nel 1950 appare, tuttavia, l’indicazione che per trovare una stima più precisa di π bisogna moltiplicare 3 per il reciproco della frazione  e ciò equivale a dire π ≈ 3 + 1/8).

(3) Si dimostra che solo alcune lunule sono quadrabili.

(4) Si pensa che questo breve testo sia in realtà la sintesi, trascritta da altri, di un libro di Archimede, sullo stesso argomento, molto più ampio, in cui egli approssima π ricorrendo ai poligoni regolari di 384 lati.

(5) Il metodo di esaustione sembra sia stato ideato dal matematico e astronomo Eudosso di Cnido (IV sec. a. C.), il più grande del suo tempo. Nella circostanza,  se S è l’area del cerchio e  T quella del triangolo, Archimede dimostra per assurdo l’impossibilità delle disuguaglianze S > T e S < T, da cui deduce evidentemente S = T.

(6) Antifonte cercò di quadrare il cerchio approssimandone l’area con i poligoni regolari inscritti e Brisone con quelli circoscritti.

(7) Su come Archimede sia riuscito ad approssimare le radici quadrate con le frazioni sono state formulate varie ipotesi. Qualche storico (Heiberg in Quaestiones Archimedeae p. 53) pensa che abbia seguito un algoritmo attribuito ad Erone ma risalente forse ai Babilonesi, qualche altro (Opere di Archimede, a cura di Attilio Frajese, UTET, Torino, 1974) propende per un metodo formulato dal matematico francese De Lagny nel lontano 1723 (Mémoires de l’Académie des sciences, 1723, p. 55-69). A titolo di curiosità, si può aggiungere che, nel 1717, il De Lagny calcolò π con 107 cifre decimali esatte.

 


[1] Cfr.: L. Cresci, Le curve celebri. Invito alla storia della matematica attraverso le curve piane più affascinanti, Muzzio, Padova, 1998, p. 4-7


[1] Cfr.George Gheverghese Joseph, C’era una volta un numero. La vera storia della matematica, Il Saggiatore, Milano 2000, p. 94-100.