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LE FRAZIONI DI p
NELL’ANTICHITÀ Antonio Caserio (Liceo Artistico “G. Manzù” – CB) Il sogno dei
matematici per alcuni millenni è stato quello di trovare una frazione che
esprimesse il rapporto costante tra la lunghezza della circonferenza e il
suo diametro. La ricerca di
questo rapporto, che come noto si indica con la lettera π, sottende
il classico problema di determinare un quadrato avente la stessa area di
un cerchio dato (ciclometria). La
storia inizia con lo scriba egizio Ahmes che nel papiro Rhind (1),
risalente al 1650 a. C., fornisce per π il valore approssimato di
con un errore
inferiore al 2%. Si tratta di una approssimazione notevole per quei tempi
e non si sa nemmeno come Ahmes l’abbia trovata. Qualcuno ha avanzato
l’ipotesi che gli Egizi l’abbiano ottenuta empiricamente dalla formula
Un campo circolare ha il diametro di 9 khet. Qual
è la sua area? Soluzione. Sottraete 1/9 del diametro,
vale a dire 1 khet (vedi fig.
1). Rimangono 8 khet.
Moltiplicate 8 per 8; il risultato è 64. Di conseguenza l’area è
composta da 64 setat (khet quadrati) di
terra.
d = diametro del cerchio, lato del
quadrato =
si ha: area quadrato
=
area cerchio
=
Si osservi
che, essendo 1 khet = 100 cubiti
= 45 m, l’area del campo risulta di circa 13 ettari e quindi il
problema è chiaramente teorico[1]. Per quanto il
cerchio sia una figura semplice, il problema di determinarne l’area
rientra nel caso molto più generale di calcolare l’area di figure a
contorno curvilineo o mistilineo, un problema che D’Alembert e Diderot definiscono di geometria
sublime, ancora nell’edizione del 1784 della loro celebre Encyclopedie. Il primo geometra che riuscì a trovare esattamente l’area di una superficie a contorno curvilineo fu Ippocrate di Chio (460 a. C. – 380 a. C. circa). Egli determinò l’area di speciali lunule (3), superfici comprese tra due archi di circonferenza.
Si consideri,
allo scopo, un triangolo rettangolo ABC
rettangolo in B e si
costruisca su ciascun lato il relativo semicerchio (vedi fig. 2). Dal
teorema di Pitagora
Infatti
si ha:
(1)
(2)
Da queste,
per il teorema di Pitagora, si ottiene
e quindi
Infine
Ippocrate trova che quattro lunule L
uguali sono equivalenti a un quadrato Q.
Infatti dalla figura 4, per quanto dimostrato poco fa, si ha:
Basandosi su
questo risultato e sull’ingannevole constatazione che il cerchio è
una figura molto più semplice della lunula, molti geometri, nei secoli
successivi tentarono di risolvere il problema della quadratura. Fu Archimede
di Siracusa (287 – 212 a. C.) ad ottenere il risultato più
sensazionale della geometria greca per quanto riguarda il calcolo di
π. In un trattatello di poche pagine, dal titolo La
misura del cerchio (4), egli stabilì i teoremi che avrebbero
innovato e influenzato per molti secoli la ricerca del valore di π.
Prima dimostrò, con il metodo di esaustione (5), la seguente proporzione:
da cui, posto
Da notare che
la stima
(i)
Per le
posizioni fatte, poiché per il teorema di Pitagora è anche
(ii)
che è la
relazione cercata. Per l’esagono regolare circoscritto, da cui
Archimede inizia il suo calcolo, si ha a
= 30°,
(iii)
sostituendo i
valori di
(iv)
Servendosi
della formula ricorsiva (ii), Archimede continua alla stessa maniera
fino al poligono regolare circoscritto di 96 lati. Ma la sua
genialità non risiede tanto nel metodo, che qualche storico
attribuisce ad Antifonte (V secolo a. C.) e a Brisone (circa 450 a.
C.), bensì nei calcoli che egli compie per approssimare le
inevitabili radici quadrate con le frazioni (6). Approssimando
che non è
agevole da ricordare. Ma qui Archimede è anche fortunato, perché
diminuendo soltanto di 2 unità il denominatore della frazione, trova
9345 che è multiplo di 1335. Quindi ricava:
cioè
(v)
l2n=(2-(4-ln2)1/2)1/2 tra i lati
dei poligoni regolari inscritti, rispettivamente di numero di lati 2n
e n. Applicando
ricorsivamente la (v) e approssimando, ancora, le radici quadrate con
le frazioni (qui ad esempio sostituisce a
Note esplicative
(1) Il papiro
contiene in forma di problemi enunciati e risolti tutte le conoscenze
matematiche degli Egizi e può essere considerato, a ragione, il primo
manuale di matematica. (2) Si pensi
che gli Egizi scrivevano le frazioni come somma di unità frazionarie
distinte e che non conoscevano la scrittura decimale dei numeri.
L’approssimazione è molto buona se confrontata con il valore
grossolano di π riportato nella Bibbia e con quello usato dai
Babilonesi che è di 3. (In una tavoletta dell’Antico impero
babilonese scoperta nel 1950 appare, tuttavia, l’indicazione che per
trovare una stima più precisa di π bisogna moltiplicare 3 per il
reciproco della frazione
(3) Si
dimostra che solo alcune lunule sono quadrabili. (4) Si pensa
che questo breve testo sia in realtà la sintesi, trascritta da altri,
di un libro di Archimede, sullo stesso argomento, molto più ampio, in
cui egli approssima π ricorrendo ai poligoni regolari di 384
lati. (5) Il metodo
di esaustione sembra sia stato ideato dal matematico e astronomo
Eudosso di Cnido (IV sec. a. C.), il più grande del suo tempo. Nella
circostanza, se S
è l’area del cerchio e T
quella del triangolo, Archimede dimostra per assurdo
l’impossibilità delle disuguaglianze S > T e S
< T, da cui deduce evidentemente S
= T. (6) Antifonte
cercò di quadrare il cerchio approssimandone l’area con i poligoni
regolari inscritti e Brisone con quelli circoscritti. (7) Su come
Archimede sia riuscito ad approssimare le radici quadrate con le
frazioni sono state formulate varie ipotesi. Qualche storico (Heiberg
in Quaestiones Archimedeae p. 53) pensa che abbia seguito un algoritmo
attribuito ad Erone ma risalente forse ai Babilonesi, qualche altro (Opere
di Archimede, a cura di Attilio Frajese, UTET, Torino, 1974)
propende per un metodo formulato dal matematico francese De Lagny nel
lontano 1723 (Mémoires de l’Académie
des sciences, 1723, p. 55-69). A titolo di curiosità, si può
aggiungere che, nel 1717, il De Lagny calcolò π con 107 cifre
decimali esatte.
[1] Cfr.: L. Cresci, Le curve celebri. Invito alla storia della matematica attraverso le curve piane più affascinanti, Muzzio, Padova, 1998, p. 4-7 [1] Cfr.George Gheverghese Joseph, C’era una volta un numero. La vera storia della matematica, Il Saggiatore, Milano 2000, p. 94-100.
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