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UN OGGETTO CHIAMATO
SPAZIO
di Gabriele Rago – Campobasso
Sino al finire dell'Ottocento la Fisica appariva come una
solida costruzione unitaria fondata su quattro concetti
fondamentali: lo spazio, il tempo, la materia ed il movimento.
Questi per la maggior parte dei fisici erano oggetti primitivi, non
ulteriormente analizzabili, facenti parte delle nozioni comuni e
costituivano una specie di moderna teoria dei quattro elementi che
caratterizzava il ben noto meccanicismo.
Con ciò tuttavia non intendo dire che queste basi fossero
altrettanto pacificamente acquisite in tutti gli altri ambienti in
cui si era manifestato e si manifestava il pensiero, chè anzi esse
furono elementi centrali del dibattito scientifico-filosofico presso
gli antichi Greci e non hanno mai smesso di appassionare i pensatori
successivi e in particolare gli
oppositori di Newton, tra i quali Leibniz, Huygens e Berkeley.
Sta di fatto, però, che la reazione alla metafisica, tutta
intesa a valorizzare l'evidenza sperimentale, ha raccolto i quattro
elementi dal senso comune senza alcuna apprezzabile ripulitura e
l'aspetto fondante e valido di questa scelta, più che da
considerazioni critiche, è stato dimostrato "a
posteriori" dai notevoli successi registrati dagli sviluppi
della scienza galileiana e newtoniana.
Solo più tardi, con l'estendersi delle sperimentazioni e
delle scoperte a settori diversi, quali l'elettromagnetismo ed il
comportamento delle particelle elementari, il modello meccanico è
andato in crisi ed ha costretto i fisici a rivedere criticamente i
concetti sui quali tale modello era fondato, nonchè a capire quanto
ingenua fosse quella dottrina dei quattro elementi acriticamente
accolti, a dispetto di tutto quanto in proposito aveva prodotto la
storia del pensiero.
Una prima fondamentale analisi critica
riguarda lo spazio e, per cogliere la sua natura, potremmo
inizialmente credere di trovare un conforto nella geometria, la
quale sembra occuparsene in via prioritaria. Però di fatto la
geometria definisce lo spazio come un insieme di punti che godono di
alcune proprietà assunte per via assiomatica e di altre che da
queste si deducono per dimostrazione logica, senza con ciò nulla
dire sulla natura dello spazio. Essa si presenta come una struttura
linguistica che non ha senso fisico fin quando non viene
interpretata. Ed il motivo del contendere è proprio questa
interpretazione. I punti sono interpretabili come eventi e
percezioni o come elementi di una realtà indipendente nella quale
eventi e percezioni si collocano?
Nei suoi scritti Einstein ha osservato che lo spazio è una
libera costruzione della mente umana tendente a realizzare un
ordinamento degli eventi e delle percezioni, tale da consentirci una
migliore individuazione, comprensione e gestione degli stessi. Essa
può articolarsi in due diversi concetti, che, in sostanza, appaiono
distinti solo per le contrastanti interpretazioni che storicamente
sono state loro assegnate.
Il primo di questi riflette le relazioni che si possono
stabilire tra gli elementi sperimentati e che, a seconda delle
proprietà che esse presentano, vengono denominate intervalli, distanze o spostamenti.
Queste relazioni, poi, possono essere integrate in una
struttura relazionale (space),
mediante la quale indirettamente è possibile stabilire la posizione
di ciascun oggetto rispetto al complesso degli altri (place).
Si giunge così ad un certo concetto di spazio che segue logicamente
l'esperienza e le cui relazioni sono studiate da una opportuna
geometria validata dalla risultanze sperimentali. Questo è, in
fondo, il moderno concetto di spazio come sistema di relazioni
interconnesse, che cominciò ad affiorare nella definizione di
posizione data da Aristotele, venne poi sostenuto da Teofrasto e,
malgrado il diverso corso della scienza, giunse a chiarirsi nella
sua essenza con il principium individuationis
di Locke e l' ordo
coexistendi di
Leibniz.
Il secondo concetto, invece, indipendentemente dal tipo di
geometria che lo descrive, sia essa euclidea o non, rappresenta lo
spazio come un contenitore universale, omogeneo ed isotropo,
illimitato in ogni direzione, immutabile e rigido, indipendente dal
tempo, che contiene in sè tutti gli oggetti fisici ed è totalmente
passivo ed indifferente rispetto a questi suoi contenuti. E' subito
visto che questo secondo tipo di spazio, a meno di risolversi
nel precedente in quanto puro e semplice schema di previsione
di una localizzazione, acquista una sua realtà oggettiva che si
inquadra logicamente nell'esperienza e per ciò stesso pone notevoli
e irrisolti problemi.
Oggi sappiamo che lo spazio contenitore e reale può
concepirsi solo ricommettendo il principale errore dei pensatori
greci, che consiste nella ipostatizzazione dei prodotti mentali e
cioè nel vedere questi come una realtà esterna indipendente dalla
mente che li ha generati. Errore che si è riprodotto nel tempo,
perchè è del tutto naturale e viene continuatamente commesso da
ognuno di noi nella primissima infanzia, quando, per esigenze di
sopravvivenza, siamo costretti a farci un'idea, anche errata ma
funzionale, di come è fatto il mondo. Errore nel quale sono
ingenuamente caduti anche Galileo e Newton.
Però lo spazio concepito come realmente esistente va a
collocarsi tra gli oggetti dell'esperienza e quindi va
necessariamente a scontrarsi con la materia, alla quale nel corso
della storia del pensiero scientifico esso è sempre apparso
correlativo. Entrambi i concetti, infatti, nascono dalla più
generale contrapposizione di essere
e di non essere
ed inizialmente lo spazio si configura come ciò che non è
materia eppure esiste. Questo strano concetto, che oggi chiamiamo vuoto, che assegna un'esistenza al nulla e che solo la potenza
intellettiva dei Greci poteva produrre, fu necessario agli Atomisti
per consentire la dinamica dei loro atomi, ma fu subito bloccato
dall'autorevole pensiero di Aristotele, fino a quando non riapparve
in seno alla fisica del Rinascimento nella forma più moderna
tramandata da Lucrezio e cioè come spazio non più alternativo alla
materia ma inclusivo di questa. Ed è proprio dalla correlazione
spazio-materia che nascono le incongruenze che portano
all'inammissibilità dello spazio newtoniano.
Una di queste è appunto quella rilevata da Clifford con il
paradosso che porta il suo nome. E' noto che la riduzione in scala
di un oggetto o di un sistema fisico ne altera notevolmente i
comportamenti. Una spiga di grano, ad esempio, anche se agitata dal
vento, si erge e si autosostiene senza problemi, mentre un altro
vegetale di identica struttura, che in proporzione fosse cento volte
più grande, si affloscerebbe istantaneamente anche senza la
complicità del vento. Analogamente le avventure di Gulliver sono un
esempio di pessima fantascienza, perchè i lillipuziani dovrebbero
saltare come grilli ed i giganti invece dovrebbero crollare sotto il
loro stesso peso. Ciò vuol dire che la materia ha dimensioni
assolute riconoscibili dal tipo di fenomeni che si osservano.
Viceversa lo spazio ha dimensioni relative, perchè, se si
riducessero di un certo fattore le dimensioni di tutti gli oggetti,
compresi anche l'osservatore ed i suoi strumenti di misura, da un
punto di vista puramente spaziale, non se ne accorgerebbe nessuno.
Altro difetto di correlatività sta nel fatto che allo spazio
vengono attribuiti caratteri di continuità e, quindi, in
particolare di divisibilità infinita che la materia e l'energia
hanno mostrato di non possedere.
Ma la crisi più grave, che storicamente ha decretato la fine
dello spazio contenitore, è la comparsa del concetto di campo ed in
particolare la scoperta dei campi elettromagnetici. La vanificazione
dell'esistenza dell'etere, la riduzione dei campi a modifiche dello
spazio e la formulazione relativistica delle equazioni del campo
hanno dimostrato essere illegittime sia la distinzione tra spazio e
materia e sia la concezione di un ente indifferente ai suoi
contenuti. Resta invece legittima la struttura relazionale
mentalmente prodotta con la quale "a posteriori" lo
spazio-materia viene descritto nei suoi comportamenti.
L'analisi potrebbe spingersi a mostrare come anche il tempo
ed il moto vadano a confluire nell'unica realtà materiale e come
alcuni dei caratteri a questa attribuiti, come ad esempio la rigidità,
siano in realtà caratteri propri delle struttura che la modellizza,
ma ciò ci porterebbe molto lontano. Qui, invece, interessa
sottolineare che queste considerazioni, in apparenza puramente
accademiche, hanno al contrario una notevole importanza didattica.
Troppo frequentemente, infatti, l'insegnante cerca di
semplificare e rendere più accessibile il proprio intervento
didattico appoggiandosi a quei concetti che fanno parte del senso
comune e che spesso, come accade appunto per un certo concetto di
spazio, in età prescolare nascono sbagliati e non idonei a
comprendere la diversa visione del mondo che la scienza moderna ci
propone. Pertanto discutendo questi errori ci auguriamo che egli,
pur consapevole delle possibili maggiori difficoltà, ometta il loro
tacito avallo e si assegni, invece, il compito di correggerli.
CALCOLO DEL VOLUME DEL SOLIDO
GENERATO DALLA ROTAZIONE DI UN TRAPEZIO INTORNO A UNO DEI SUOI LATI
CON IL TEOREMA DI GULDINO
di
Domenico Di Biase - Bojano
(CB)
Teorema
di Guldino:
Il volume del solido generato dalla rotazione di una figura piana
intorno ad una retta che non l’attraversi, è dato dal prodotto
dell’area della superficie della figura per la lunghezza della
circonferenza descritta dal baricentro della figura nella rotazione.
Per applicare
il teorema di Guldino dobbiamo procurarci -in funzione dei lati,
delle basi e dell’altezza- le distanze del baricentro del trapezio
dalle basi e dal lato obliquo. Ricordiamo, senza darne la
dimostrazione, la costruzione del baricentro del trapezio.
Si
prolunghi (cfr.fig.I) la base minore DC, dalla parte di C, di un
segmento CF uguale alla base maggiore AB; e, viceversa si prolunghi
la base maggiore AB, dalla parte di A di un segmento EA uguale alla
base minore DC; detti K e H i punti medi, rispettivamente, della
base minore e della base maggiore, il baricentro G, del trapezio,
coincide con l’intersezione del segmento EF con il segmento HK.
Siano
rispettivamente le
misure della base maggiore, della base minore, del lato obliquo
CB, dell’altezza CL del trapezio. Applicando il teorema
delle altezze ai triangoli simili EGH e KGF si ha (fig. I):
e passando
alle misure:
(1)
Applicando il
componendo e tenendo presente che
, si ottiene:
e
(2)
che esprimono
le distanze del baricentro G, rispettivamente, dalla base maggiore e
da quella minore.
Con le
notazioni della figura (II) si ha:
;
;
.
Per quanto
riguarda la distanza
del baricentro del trapezio dal lato obliquo CB si ottiene:
(3)
Se con
indichiamo il volume
del solido ottenuto dalla rotazione del trapezio intorno,
rispettivamente, alla base maggiore, alla base minore ed al lato
obliquo CB, applicando il teorema di Guldino e tenendo presente che
, si ha:
;
;
.
espressioni
che possono essere facilmente memorizzate.
GULDIN, Paul
(vero nome Habacuc Guldin, detto Guldino), matematico
svizzero, nacque a San Gallo il 16/6/1577 e morì a Graz il
3/11/1643. Di origine ebraica, si convertì al cattolicesimo
ed entrò nell’ordine dei gesuiti.
Nella sua opera De centro
gravitatis (1635), oltre a rivendicare il rigore
archimedeo contro le profanazioni (come egli considerava) di
Kepler e Cavalieri, formulò due fondamentali teoremi per la
determinazione del volume e della superficie di un solido di
rotazione. Il primo di essi è quello riportato
nell’articolo; il secondo afferma: “La superficie
generata dalla rotazione di una curva piana intorno ad una
retta che non l’attraversa, è data dal prodotto della
lunghezza della curva generatrice per la lunghezza della
circonferenza descritta dal baricentro della curva”.
Queste proposizioni erano già note a
Pappo di Alessandria; infatti, si trovano in uno dei codici
manoscritti delle Collezioni matematiche (libro VII).
Per la posizione che occupano, qualche critico ritiene, però,
che si tratti di una interpolazione fatta da un ignoto
copista.
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