La
straordinaria figura di Ipazia di Alessandria, matematica,
astronoma, filosofa, divulgatrice di cultura, insegnante, ultimo
simbolo della scienza antica, donna di grande integrità morale,
martire leggendaria, riveste particolare importanza nella storia
della scienza, nella fattispecie della matematica: si tratta,
infatti, della prima donna matematica della storia che abbia
lasciato tracce apprezzabili dei propri studi, in un mondo che,
persino ancora oggi, rimane quasi esclusivamente appannaggio
maschile. Bisognerà aspettare addirittura madame Curie per avere
un' altra donna paragonabile, quindi si può affermare che Ipazia
sia stata, per quindici secoli, l' unica scienziata della storia.
Nacque nel 370 d. C., figlia del matematico, astronomo e rettore
dell' Università Teone di Alessandria; non si avvicinò
autonomamente al mondo scientifico ma seguì le orme paterne,
infatti fu appunto istruita dal padre allo studio delle cosiddette
scienze esatte (in particolare geometria e astronomia). Teone voleva
farla diventare, tramite l' istruzione, "un perfetto essere
umano" (questo concetto indica che, all' epoca, le femmine
spesso non erano considerate umane). Nei trattati di Teone che
ancora ci rimangono è possibile rintracciare parte del lavoro di
Ipazia, infatti, ad esempio, nell' intestazione del III libro del
commento di Teone al Sistema matematico (Almagesto) di Tolomeo
(opera che tratta della teoria astronomica geocentrica, la quale fu
ritenuta valida fino alla "rivoluzione copernicana" del
XVI sec.) leggiamo: "Commento di Teone di Alessandria al terzo
libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla
filosofa Ipazia, mia figlia". Oltre alla formazione
scientifica, contribuisce al vasto sapere di Ipazia anche quella
relativa a tendenze teosofiche e occultistiche (da ricondurre alla
scuola neoplatonica di Alessandria). In quel tempo, poi, non essendo
ben definiti i confini tra scienza e magia, ogni filosofo o
scienziato alessandrino era anche in parte un alchimista. Inoltre,
in Alessandria era ben diffuso anche il sapere mistico ed esoterico
delle religioni e filosofie egizie e assiro-babilonesi, di cui i
greci si appropriarono culturalmente. Ipazia si recò ad Atene e a
Roma per svolgere i suoi studi, e lì si mise in luce per le sue
doti intellettuali ma anche per la sua notevole bellezza; di ritorno
ad Alessandria, intraprese, nel Serapeo, l' insegnamento di
matematica, astronomia, filosofia, meccanica; la sua casa divenne
così un vero e proprio centro intellettuale. La sua opera più
significativa è costituita dai tredici volumi di commento all'
"Aritmetica" di Diofanto; che è considerato il
"padre" dell' algebra. Notevole è anche il trattato, in
otto volumi, sulle "Coniche di Apollonio" (Apollonio di
Perga, studioso del III sec. che introdusse gli epicicli e i
deferenti per spiegare le orbite dei pianeti); si ricordano anche
trattati su Euclide e Tolomeo; tali edizioni sono importanti anche
perché fanno riferimento ad opere che prima presero la via dell'
Oriente durante i secoli, e poi tornarono in Occidente in traduzione
araba, dopo un millennio di rimozione. Inoltre si ricorda l'
importante Corpus astronomico, raccolta di tavole sui corpi celesti.
Di quest' ultima opera ci parlano Filostorgio e il lessico della
Suda. Delle opere di Ipazia, generalmente caratterizzate da un'
impostazione didattico-divulgativa, non ci rimane molto; infatti
sono andate quasi del tutto perdute; rimangono, però, alcune copie
ritrovate nel Quattrocento, e per giunta, per ironia della sorte
conservate a Roma nella Biblioteca Vaticana (dopo il saccheggio dei
crociati nella Biblioteca di Costantinopoli), che si può
considerare la "casa dei suoi sicari". Le sole notizie di
prima mano su di lei le troviamo nelle lettere di Sinesio di Cirene,
poeta e oratore, il suo allievo prediletto che dopo averla chiamata
madre, sorella, maestra e benefattrice tradì il suo insegnamento,
dal momento che divenne vescovo di Tolemaide. Le parole di Sinesio,
però, manifestando ammirazione per la straordinaria figura di
Ipazia, possono anche essere interpretate come la voce ammirata e
devota di un uomo che ha compiuto una scelta ben diversa rispetto
all' insegnamento della grande matematica, e che appare proprio per
questo quanto mai degno di ascolto. Gli interessi di Ipazia
abbracciarono anche meccanica e tecnologia: disegnò strumenti
scientifici come un astrolabio piatto (strumento atto a misurare la
posizione dei pianeti), uno strumento per misurare il livello dell'
acqua, uno per distillarla, e un idrometro di ottone per determinare
la gravità (densità) di un liquido. Per quanto riguarda la sua
importanza come filosofa, ricordiamo che fu pagana e seguace del
neoplatonismo più tollerante su base matematica; in questo senso si
può dire che l' opera matematica di Ipazia viene completata,
chiarita, esplicitata nel pensiero neoplatonico tramite questo
concetto: il grande libro della natura è scritto con caratteri
matematici, e solo attraverso questi ultimi è possibile la sua
lettura. Fu inoltre fautrice della distinzione e autonomia tra
religione e filosofia, separando nettamente (e così rendendo non
incompatibili) da una parte la ricerca logica e scientifica
orientata in senso neoplatonico, e dall' altra la scelta di fede
come fatto personale. Socrate Scolastico cita infatti Ipazia come la
terza caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino.
Damasco spiega
come passò dalla semplice erudizione alla sapienza filosofica. In
un epigramma di Pallada, poi, leggiamo uno straordinario elogio di
Ipazia:
"Quando ti
vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, / vedendo la casa
astrale della Vergine,/ infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo
atto/ Ipazia sacra, bellezza delle parole,/ astro incontaminato
della sapiente cultura".
Come nota la
studiosa Beretta, il terzo verso è eloquente, "verso il cielo
è rivolto ogni tuo atto"dal momento che sembra indicare
contemporaneamente la speculazione filosofica e l' interesse per l'
astronomia. Lo straordinario coraggio della grande matematica le
permise di rifiutare la conversione al Cristianesimo, di non
abbandonare le sue idee, così venne brutalmente assassinata.Il
contesto in cui avvenne il delitto è il seguente: nel primo periodo
dell' espansione della cristianità il misticismo e l' astrologia
tendevano a soppiantare l'osservazione scientifica, ad
Alessandria venne distrutta la Biblioteca e ciò che era rimasto del
Museo; la scienza greca sarebbe sopravvissuta solo a Bisanzio per
poi riapparire e rifiorire nel mondo arabo. In una città
cosmopolita come Alessandria in quel periodo teatro di intrighi e
lotte per il potere, Ipazia ebbe influenza negli ambienti filosofici
e politici, frequentò il prefetto romano Oreste, che era in rotta
con il patriarca Cirillo. Il Cristianesimo ormai, cessando di essere
perseguitato con l' editto di Costantino del 313, divenne
legittimato come religione di Stato con l' editto di Teodosio del
380. |
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Allora iniziò a perseguitare il paganesimo, nel 392, quando
furono distrutti i templi greci e bruciati i testi
"pagani". Nel 412 ad Alessandria divenne patriarca il
fondamentalista Cirillo (che poi, successivamente, fu
"giustamente" fatto santo) e, nonostante il suo ruolo di
predicatore della religione dell' amore, iniziò una persecuzione
contro i neoplatonici e gli ebrei, costringendoli all'esilio,
e più in generale iniziò ad opprimere filosofi e scienziati,
definendoli eretici. Cristiani fanatici e violenti ( il lessico Suda
li definisce esseri abominevoli, vere bestie), spesso analfabeti,
avevano costituito una specie di "Ku-Klux-Klan" che
seminava terrore per Alessandria, e Cirillo si servì di questo
"braccio armato" di combattenti per ferire il prefetto
Oreste, ma la sua vera vittima fu Ipazia. Non furono i violenti
fanatici cristiani i responsabili dell' orrenda fine di Ipazia,
bensì un "pio" lettore ufficiale di sacre scritture,
Pietro il Cireneo, e i suoi seguaci.
Ipazia aveva la
"colpa" non soltanto di essersi rifiutata di convertirsi e
di abbandonare le proprie idee, ma anche di rappresentare, quale
"faro culturale" di Alessandria, una potenziale minaccia
per il potere spirituale e quello temporale; basti pensare che
allora la grande matematica era a capo della scuola neoplatonica
alessandrina, e in quell' epoca una scuola filosofica poteva
arrivare ad influenzare la politica cittadina.
Cirillo non poteva
tollerare il cenacolo scientifico neoplatonico, vivo centro
spirituale che intralciava, disturbava il suo progetto di conquista
della città. Inoltre, un' altra possibile causa dell' odio di
Cirillo nei confronti di Ipazia è da ricercare nell' invidia che
poteva provocare la notevole considerazione e notorietà che la
filosofa aveva raggiunto in città, negli ambienti culturali.
Infatti, Cirillo rappresentava il massimo potere ecclesiastico, ma
Ipazia era il più importante esponente culturale, occupando la
prestigiosa cattedra di filosofia, la quale derivava addirittura da
Plotino.
Le modalità del
suo assassinio, avvenuto nel 415, furono tremende: la donna fu
aggredita mentre rincasava, trascinata davanti alla chiesa del
Cesario, le furono cavati gli occhi, fu scarnificata con coltelli
fatti da conchiglie affilate, smembrata e infine bruciata in un
letamaio. Così morì una delle poche donne che ebbero la
possibilità di distinguersi nella scienza, considerata fino a non
molto tempo fa, appannaggio esclusivo del mondo maschile; una donna
che pagò con la propria vita questa passione, facendo in modo che
il suo nome rimanesse scritto a caratteri indelebili negli annali
della matematica. L'assassinio rimase nascosto tra le pagine di una
storia misconosciuta.
Con la sua morte,
non solo ebbe fine l'insegnamento neoplatonico in Alessandria
e in tutto l' impero, ma scomparve una delle menti più geniali
della storia dell' umanità, nonché una delle più importanti
comunità scientifiche di ogni epoca. La sua drammatica morte ha
colpito scrittori di diverse epoche che l' hanno immortalata come l'
ultima e pura erede del pensiero greco. Dopo la morte di Ipazia,
bisognerà attendere il Rinascimento prima che un' altra donna
diventi così celebre per lo studio della matematica (questo è il
caso, ad esempio, di Maria Gaetana Agnesi, conosciuta come una delle
migliori matematiche europee, anch' essa discriminata, alla quale
non fu concesso un posto di ricercatrice). La vita di Ipazia
cominciò ad essere scritta circa vent' anni dopo la sua morte; i
primi ad occuparsi di lei furono due padri della Chiesa, Socrate
Scolastico e Filostorgio; essi insistono sui meriti di Ipazia, e va
sottolineato il fatto che quando scrissero le loro opere, i
responsabili della morte della filosofa erano ancora vivi, dunque
rischiarono molto, dal momento che accusarono apertamente Cirillo.
Essi fanno riferimento anche al merito di Ipazia di aver fatto sì
che si realizzasse la politeia, per mezzo della quale erano i
filosofi a decidere le sorti della città. Inoltre essi ci
testimoniano che Ipazia univa un insegnamento esoterico ad uno
pubblico, simile a quello dei sofisti del I secolo: tramandava
generosamente il suo sapere attorno a lei, non riservando la
conoscenza solo per sé e pochi eletti, ma elargendola agli altri.
Alcune testimonianze attestano che fosse solita, vestita di un
mantello, uscire in mezzo alla città e spiegare pubblicamente, a
chiunque volesse prestare ascolto, Platone, Aristotele, o le opere
di qualsiasi altro filosofo. Naturalmente, questo le attirava
autorità e simpatia da parte del popolo. Non solo, però, ciò
avveniva da parte del popolo: parecchie autorità cittadine la
ossequiavano e molti capi si recavano da lei prima di prendersi
carico delle questioni pubbliche. Socrate sottolineò il tema dell'
odio e della gelosia: ci dice infatti che Ipazia era giunta ad un
alto grado di cultura tanto da superare i filosofi suoi
contemporanei; accedeva anche al cospetto dei capi della città, non
provava vergogna nello stare tra gli uomini; a causa della sua
straordinaria saggezza tutti la rispettavano profondamente e ne
avevano timore reverenziale. Per tutti questi motivi, è facile
capire che si attirò le invidie della gente, oltre che l'
ammirazione. Anche Damascio di Damasco, che scrisse circa ottant'
anni dopo Socrate Scolastico e Filostorgio, parla dell' invidia nei
confronti di Ipazia, in particolare da parte di Cirillo. Non
mancarono comunque autori che, come Giovanni di Nikiu, difesero il
vescovo cattolico, reputando il linciaggio della filosofa una
meritata punizione; secondo tale autore, la filosofa ipnotizzava i
suoi studenti con la magia e si dedicava alla satanica scienza degli
astri e tutta la popolazione circondò il patriarca Cirillo e lo
chiamò "nuovo Teofilo", perché aveva liberato la città
dagli ultimi idoli. In realtà, a quanto pare, Cirillo non scontò
alcuna pena per l' assassinio di Ipazia. Oreste, infatti, denunciò
il fatto a Roma, ma Cirillo dichiarò che la donna fosse sana e
salva ad Atene; si aprì un' inchiesta ma il caso fu archiviato per
"mancanza di testimoni". Di Ipazia si sono occupati molti
autori: solo per fare alcuni esempi, Voltaire ne parla evidenziando
l' avvenenza e l' ingiusta condanna della donna; anche Vincenzo
Monti la menziona quale martire innocente, così come fa, in un
saggio del 1720, anche l' irlandese John Toland. Inoltre ricordiamo
un poema di Diodata Saluzzo-Roero, un romanzo di Kingsley, uno dei
Poèmes antiques di Le conte de Lisle; la storia romanzata di
Caterina Contini e lo studio di Maria Dzielska. Comunque, una certa
forma di "censura" nei confronti di questa straordinaria
donna sembra durare ancora, dal momento che anche oggi, nei libri di
filosofia antica, è raramente menzionata.
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